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Workaholic, il lavoro ha i suoi dipendenti

vizi di famiglia

Workaholic, ovvero dipendenti dal lavoro. Cosa spinge alcuni lavoratori a dedicare molto del proprio tempo libero al lavoro? Forse non tutti sanno che il lavoro genera dipendenza, ha chiari sintomi e pertanto è un “disturbo”.

Si chiama “sindrome da workaholism” o, appunto, dipendenza da lavoro. La traduzione letterale è “ubriaco da lavoro” e comincia a farsi conoscere nel 1971 in  America ad opera di un medico e psicologo, Edward Oates. Il termine indica ciò che prima della solita classificazione medica, rispondeva allo stacanovismo, pratica di un accanito lavoratore che spesso era indicato come “gran lavoratore”.

Ma oggi “fa male tutto” e ciò che un tempo poteva rappresentare un pregio, è diventata una patologia. Sicuramente ci sono gli esagerati ma, dato i tempi, forse al “club” sono iscritti solo professionisti di successo già accreditato. Nella categoria potremmo mettere i politici? In fondo i problemi sono sempre gli stessi e lavora che ti lavora non si viene mai a capo di nulla anzi, la situazione sembra peggiorare. Nell’elenco potrebbero magari figurare i politici con doppio lavoro (ammesso che la politica lo sia), quelli che hanno doppi, tripli e quadrupli incarichi e che non stanno mai da nessuna parte.

Tra gli ubriachi di lavoro non figurerebbero nemmeno le famiglie politiche, cioè quelle che contano i coniugi deputati entrambi, i figli a capo di qualche organismo istituzionale o in fondazioni ad hoc, stessa cosa valga per i baronati universitari: quelli hanno intere generazioni che ormai si incontrano solo nei corridoi.

Ma insomma, chi è affetto di dipendenza da lavoro nel nostro Paese? Cerchiamo di capire. Per il workaholic non c’è più differenza tra ufficio e casa, porta il lavoro in casa, a letto, nel week-end o in vacanza. Infatti è definito un disturbo ossessivo – compulsivo che si manifesta attraverso richieste autoimposte, un’incapacità di regolare le proprie abitudini di lavoro ed eccessiva indulgenza nel lavoro fino all’esclusione delle altre principali attività della vita, in sintesi, uno il cui bisogno di lavorare è talmente eccessivo da creare notevoli disagi ed interferenze nello stato di salute, nella felicità personale, nelle relazioni personali e familiari e nel suo funzionamento sociale.

Tutto questo, stando agli studi, muta il carattere cosicché il workaholic, essendo assillato dal lavoro, ha sbalzi adrenalinici elevati. È adrenalina – dipendente. Ciò determina aggressività a livello familiare e con i colleghi; è sempre sicuro di sé, invincibile, arido. È concentrato nel successo professionale. Tende a voler avere tutto sotto il suo controllo. Non pone un confine tra la vita professionale e quella personale, familiare; perde il concetto di privacy. Dorme poco, le sue forze lavorative sembrano inesauribili. Sentono un forte disprezzo per chi frequenta concerti, teatri, sport, in sintesi per coloro che spendono del tempo in attività “futili” e non produttive come il lavoro. Passa il tempo libero, i week-end, le ferie in attività che possano avere una qualche relazione col lavoro. Ha una rigidità comportamentale.

Strano, questa sindrome sembra condurre direttamente a molta, se non a tutta, la classe politica. Ma allora come mai tutto sembra sempre più impantanato nella staticità, in un catatonico tirare avanti dove nulla sembra mai tener conto dei bisogni della gente? Curioso come in ogni patologia, ammesso che lo sia, alcuni si includono altri si escludono. Chi sono gli esclusi?

I disoccupati sicuramente. Ma la sindrome da mancanza di lavoro non è contemplata come patologia, eppure produce spesso gravi disturbi, comprese le conseguenze di pesante entità che si auto producono come famigliole di funghi e che vanno sotto il nome di imposte. Eppure non è una patologia. Ci si muore perfino e i disturbi si suddividono dando loro cause diverse: ipocondria, ansia, panico, disperazione che genera manie autodistruttive anche con estreme e fatali conseguenze. Tumori, coliti, mal di testa perenne, problemi cardiovascolari.

Tutto generato dal profondo disagio, dal non vivere, dall’impossibilità di dare dignità e protezione alla propria famiglia o a se stessi, garantendone il sostegno morale e materiale. Però che strano: se hai un lavoro che genera super lavoro, potresti avere un disturbo individuabile in una sola causa. Se non hai un lavoro, potresti avere mille disturbi individuabili, di cui si presume la causa, forse una certo, ma questa non è classificata come sindrome, ma come sfiga. Non invitiamo le industrie né i ricercatori a “scovare” altre patologie, ci bastano quelle che abbiamo. Invitiamo i politici però a meritarsi, casomai ne venissero colpiti, la sindrome da dipendenza da lavoro. Visto mai che si risolve il problema della disoccupazione e tutte le conseguenze sociali che questa comporta? Tieffe

http://www.businessfirstmagazine.com.au/why-workaholics-dont-always-make-high-performers/13520/

teatroimpresa

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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