venditore di se stesso

venditore-se-stesso2Venditore di se stesso. Donne e uomini che, dopo una vita di lavoro nelle più svariate professioni, si trovano senza più una identità lavorativa a causa di chiusure, fallimenti, vendite e ristrutturazioni aziendali, licenziamenti, dislocamenti delle attività produttive e molto altro.

Si tratta generalmente di persone appartenenti ad una fascia di età intermedia, di medio alta scolarizzazione; madri e padri di famiglia, molto spesso con genitori anziani da accudire e figli in età scolare, vincoli, questi, così forti ed importanti che rendono gli ex lavoratori non disponibili se non impossibilitati ad emigrare altrove per sondare altre opportunità lavorative.

Costoro, ad un certo punto, si trovano ‘a spasso’, troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchi per potersi vendere ad altre aziende dello stesso settore di specializzazione che preferiscono persone più giovani, più malleabili professionalmente e meno costose in termini retributivi e contributivi: ovviamente, le agenzie e gli uffici di reclutamento del personale preferiscono scegliere tra candidati con una dignità professionale ancora da costruire e con la quale non dover fare quotidianamente ‘i conti’.

Diventa inevitabile, a questo punto, considerare come la ‘grande storia’, quella fatta dagli eventi macroeconomici e geopolitici entri di prepotenza nelle ‘piccole storie’, nelle vite individuali condizionandone pesantemente il clima e l’andamento.

La profonda e duratura crisi economica del mondo occidentale sta pesando come una cappa plumbea su ogni piccola comunità, sulle famiglie e sulla testa di ogni singolo individuo non soltanto per le ristrettezze finanziarie che hanno frantumato l’usato stile di vita ma anche e soprattutto perché mette le persone in quella triste e difficile condizione psicologica che rende gli ostacoli insormontabili: la profonda sfiducia nel futuro collettivo e personale con la conseguente mancanza di stima nelle proprie capacità di cambiare lo ‘status quo’. La crisi di mezza età allora si somma alla più generale crisi economica ed alla crisi del mercato del lavoro.

Ad un tal punto la depressione è in agguato, pronta a mordere le persone con i caratteri più miti o quelle che stanno vivendo in un frangente intimo familiare irto di difficoltà: ostaggi psicologici di figli in piena crisi adolescenziale, di genitori malati o comunque non autosufficienti spesso in balia di badanti senza scrupolo che vedono la famiglia dell’anziano da accudire come un limone da spremere fino all’ultima goccia, o separandi e divorziandi in pieno travaglio legale per l’affidamento dei figli, della casa, l’attribuzione degli alimenti e via con le altre amenità che la vita quotidiana profonde a piene mani, fisco, banche, mutui accesi in momenti migliori, utenze…

Ci sono momenti in cui ci si sente in trincea, senza sapere da quale parte bisogna difendersi, da quali pericoli guardarsi: una subdola guerra di logoramento che mina l’intraprendenza, la resistenza, la resilienza; in altre parole si vive in un intenso logorio di tutte le proprie capacità, attaccati su tutti i fronti senza poter capire come dare le giuste ed adeguate priorità ai problemi che si presentano in modo caotico e sempre più sovente simultaneo.

Si rende necessario un aiuto che non affronti la questione da un solo aspetto; ad un problema che si presenta con molteplici concause e sfaccettature si deve offrire una assistenza che ne affronti l’approccio considerandone tutti gli aspetti; l’obiettivo non deve essere quello di risolvere i problemi  esistenziali delle persone, bensì quello di fornire loro la necessaria fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità, ‘conditio sine qua non’ per trovare nuove vie d’uscita, reinventarsi al mutare dell’ambiente circostante, trovare il coraggio di realizzare quelle idee sulle quali hanno sempre pudicamente vagheggiato, vedere le trasformazioni del nostro mondo come possibili opportunità da cogliere  e non come inevitabili ostacoli da temere.

Sarebbe oltremodo utile invitare costoro a guardare con occhi diversi la realtà, non come una rigida sequenza di cose che debbono scorrere senza troppi intoppi, ma, invece, a porsi nel continuo flusso dei cambiamenti cercandone una armonia che può e deve essere letta in senso di occasione e non insidia.

Il termine greco aftòsdimiurghitòs’ esprime bene quanto accennato finora: ‘(ri)creatore di se stesso’.

Identity Workout

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La gestione di ogni processo di cambiamento è rappresentato dal comunicare la propria identità unica e, dal momento che le sfide quotidiane sembrano manifestarsi come meteoriti nella nostra vita, diventa necessario affrontarle con la stessa rapidità con la quale dovrebbe avvenire lo stesso cambiamento, soprattutto in un’epoca come la nostra. Pensare in modo creativo è il compito che dovremmo darci per imparare il suo significato e ciò che ad esso è conseguente: la piacevolezza del vivere. Per quanto possa sembrare paradossale, la necessità di pensare in modo “lento” si manifesta proprio quando siamo sotto pressione. Da ciò deriva il bisogno di elaborare idee migliori, soluzioni  giuste, pensieri “freschi”.

Ma quali sono le modalità per accedervi? Attraverso la comprensione del funzionamento della mente, possiamo imparare a pensare con più chiarezza, consapevolezza di sé e immaginazione.

Certamente l’affrontare un cambiamento può essere paragonabile ad una corsa sulle montagne russe e, mentre per alcuni può rappresentare una sfida entusiasmante, per altri, invece, diventa uno dei peggiori incubi. Il primo passo è sicuramente una sorta di parola d’ordine verso se stessi:

Ritrovare i piedi e riacquistare l’equilibrio per camminare di nuovo recuperando compostezza fiducia e calma.

Dunque, un cambiamento porta con se un’inevitabile sfida. E’ possibile, ma non facile, prevenire o controllare ogni trasformazione nella vita. Certo, possiamo imparare come partecipare a una transizione più consapevolmente, invece di essere inconsciamente trasportati lungo il fiume degli eventi. Allenarsi ad un’identità può aiutarci ad essere più profondamente connessi con noi stessi e vivere da una posizione di potere, di  coscienza, presenza e pienezza; questo per essere in grado di applicare i principi con cui gestire transizioni particolarmente significative della vita con maggiore facilità.

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Ci preoccupiamo per l’economia, l’instabilità politica, il prezzo del gas e del petrolio. Ci preoccupiamo per i cambiamenti climatici, la cassa integrazione e l’assistenza sanitaria. Ci preoccupiamo di lavoro, le nostre capacità e le aspettative degli altri. E’ un momento storico assolutamente perfetto per tutti coloro che vogliono preoccuparsi!

Non abbandonarti all’isolamento o allo stress

E’ diventato un compagno inseparabile per molti. Ci si abitua facilmente, pensando che è del tutto normale sottolinearlo costantemente.

“Ciao come stai? Sto bene, solo un po’ stressato”

Si alimenta e si nutre in se stesso. Stress porta altro stress. Più lo si sperimenta, più è facile sentirsi turbati da ogni piccola cosa.

La stanchezza, se non è il sintomo di uno stato patologico particolare si risolve con un po’ riposo, un momento di pausa, una passeggiata all’aria aperta. Tutto, può aiutare a rinnovare le nostre energie e renderci pronti ad affrontare un nuovo giorno. In genere è uno stile di vita frenetico la sua causa principale e di conseguenza è sufficiente interrompere ogni attività e fermarsi per un momento. Ma a volte quello di cui abbiamo bisogno è altro. Cambiare un atteggiamento che ci appare vecchio e datato, avere la capacità di disporre di noi stessi in un modo diverso; non c’è solo disagio, ma qualcosa che interferisce con la nostra capacità di agire, di avere un pensiero chiaro ed eseguire in modo produttivo ciò che abbiamo la necessita di fare. Gli studi dimostrano che lo stress cronico indebolisce la nostra salute, porta a gravi malattie, e ostacola le prestazioni di successo.

Non sto parlando di qualcosa come andare da uno psicologo, sdraiarsi sul famoso lettino, presentare le nostre difficoltà interiori, discutere le aspettative di cura, definire il problema e l’obiettivo e poi decidere come lavorarci sopra. Un colloquio con le domande giuste fatte al momento giusto. Non è questo.

Naturalmente chi inizia una psicoterapia per specifici problemi che limitano la sua esistenza, può trovarne giovamento e star meglio. Anzi, per molti è forse l’unica cosa possibile da fare. Dunque, un professionista che fornisce un supporto e propone una nuova visione di quelle difficoltà che giungono ad essere, per l’individuo, insopportabili e senza apparente soluzione, può risultare decisamente utile.

Ma è di teatro che stiamo parlando.

Autorevoli studi hanno dimostrato un’interazione tra teatro e psicoanalisi, sostenuto un confronto a doppio senso, un reciproco sguardo, stabilendo anche un unico criterio di riflessione fra questi ambiti. L’interesse implicito, e a volte esplicitato, della psicoanalisi verso l’arte teatrale, e l’intuizione che le discipline possono vicendevolmente arricchirsi è stato, oramai, dichiarato a gran voce.

Nonostante ciò, il teatro rimane altro: duro lavoro, passione, furore, amicizia e solidarietà.

Non descrivere ciò che ci sta più a cuore, o che ci toglie il sonno, non il piccolo malessere diffuso e mal delineato raccontato attraverso il sogno fatto la notte prima e da li partire come se fossimo sdraiati su quel lettino, no… ma, poi, per fare cosa? Capire meglio noi stessi? Passioni, valori, le nostre abilità, i successi, i fallimenti, le relazioni o gli obiettivi? Se fosse questo, solo questo, basterebbe porsi una semplice domanda, non è poi cosi difficile. Perché spesso il modo in cui si percepiscono gli eventi e le circostanze della vita creano stress molto più di quanto lo faccia la realtà stessa.

Il teatro, quindi, non come racconto, bensì come atto creativo di una nuova realtà.

La fiducia è il nostro stato naturale. Quando eravamo bambini, non è mai stato un problema, eppure c’erano un sacco di cose che non eravamo in grado di fare come non avevamo competenze e conoscenze sufficienti. Ma quello che avevamo era fiducia, l’accettazione e la sincerità in tutto quello che stavamo facendo. Abbiamo iniziato a dubitare di noi stessi quando abbiamo imparato a confrontarci con gli altri, a giudicare e criticare probabilmente. In questo modo, ci siamo scollegati da quello stato naturale dell’essere certi e sicuri, permettendo a quel fastidioso chiacchiericcio della mente di interferire con le nostre prestazioni.

Il teatro è li, con le sue risorse, per costruire un rapporto profondo e stretto con noi stessi sulla base dell’accettazione e della fiducia.

Isolamento o stress, sono in genere, gli aspetti emotivi che possono gestirci se siamo stati o siamo di fronte ad una decisione più o meno importante che ci spinge ad agire all’esterno. Un “esterno” rappresentato da qualcuno o qualcosa che magari detestiamo. In ogni caso, l’agire è sostanzialmente la nostra ricerca, che ci spinge in un viaggio reale o metaforico per cui vale la pena di compiere uno sforzo o di correre un rischio. Ebbene tutto questo non dipende mai da un ragionamento freddo e distaccato ma piuttosto dall’aspetto emotivo che scaturisce nell’inazione. Il ragionamento è necessario prima di fare una scelta ma, nella migliore delle ipotesi, serve a determinare un “come fare per”, piuttosto che un “perché faccio”. Serve a ricercare strumenti e strategie, a “fare attenzione a non fare sciocchezze”. Ma cos’è la spinta, che cosa ci fa alzare dalla poltrona e decidere di intraprendere una nuova straordinaria avventura, che può anche rivelarsi rischiosa?

E’ sempre un impulso, ciò che gli psicologi chiamerebbero desiderante? Altri, più semplicemente lo descriverebbero come la “ragione del cuore”. Senza contare che per alcuni ottimisti, una vita oggettivamente riuscita ha in sé la vaga malinconia del rimpianto, un leggero sentimento di qualcosa cui abbiamo rinunciato, per aver agito costretti dalla ragione (che spesso è paura mascherata da lucidità). L’identità è, senza dubbio, ciò che facciamo ma anche ciò che conosciamo, le nostre curiosità, i gusti, il carattere e naturalmente i linguaggi e gli apparati simbolici grazie ai quali comunichiamo, pensiamo e organizziamo la visione e la rappresentazione del mondo e di noi stessi.

Ma possedere un’identità bene organizzata e “strutturata”, che ha il significato di riconoscersi ed essere riconosciuti, è sufficiente per rispondere alla domanda: chi sono? Oppure ci è necessario altro sapere per conoscerci? Noi siamo corpo, mente, energia, emozioni. Siamo capaci di deluderci, illuderci, sognare e risvegliarci e ancora sognare altri sogni, cambiandoli secondo il nostro stato emotivo. Esattamente come accade in teatro, ad un attore.

Cosa ha a che fare il teatro con tutto questo?

Il teatro pretende la conoscenza assoluta del sé che si fa attore; la conoscenza del proprio corpo e delle sue potenzialità, della psicologia e dell’emotività del personaggio interpretato.

La vita “reale” e l'”illusione” del teatro hanno in comune questi fondamentali processi psicologici e fisiologici, come l’espressione del corpo (atteggiamenti posturali, voce, gesto, linguaggio), l’identità, l’identificazione, l’immaginazione. Nella vita reale le diverse componenti dell’Io si integrano tra loro perfettamente in un processo finalizzato alla produzione della “verità esistenziale”. Nel teatro avviene lo stesso processo, ma nel modo artificiale. Nel teatro la realtà non è “vera” ma “verosimile”. E il gioco teatrale, proprio perché artificiale, permette l’osservazione e la profonda comprensione dei singoli aspetti della struttura dell’Io. Attraverso il lavoro dell’attore – questo continuo comporre e scomporre gli elementi dell’Io – si comprenderanno meglio le strutture dell’Io e l’attore utilizza questa comprensione nell’affrontare e risolvere alcune complesse problematiche proprie della recitazione.

Alcuni definiscono questo processo come terapia teatrale. Che brutta definizione, ovvero “dei mezzi e dei metodi per combattere una malattia”. In realtà il teatro e la conoscenza degli strumenti della recitazione applicati a noi stessi, sono naturalmente una terapia, della quale, non accorgendocene, applichiamo i principi alla nostra realtà quotidiana, sforniti però della tecnica. Non siamo macchine, né dunque agiamo a comando ma è possibile farlo acquisendo quelle tecniche che il percorso formativo (“forma- attivo”, cioè valido nella sostanza) rivela nella gradualità di una ricerca costante, fino a scoprire che ciò che abbiamo appreso è quanto di più naturale esista.

Volendo tradurre in termini oggettivi l’esperienza: difficile isolarsi o stressarsi, difficile non gestire le emozioni quando il sé si rivela nel suo nudo funzionamento. Per la semplice ragione che, acquisita consapevolezza, la nostra traiettoria, il nostro percorso diventa una scelta a priori, naturale e rispondente a come veramente siamo.

Si potrebbe obiettare, a questo punto, che il teatro necessita di un’attitudine, un’inclinazione, un interesse, senza il quale resta difficile dedicarsi, darsi interamente. Il teatro, qui, è solo uno strumento. Perché, hai una particolare predilezione per la psicoanalisi? Una speciale propensione per lo sciroppo contro la tosse? Se ti è utile e fa bene, prendine un cucchiaio e vedi se ti passa.

I commenti e le domande sono bene accetti.

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