all history

 

all-history-1A prendere il sopravvento è, sempre, il gioco perverso delle parole, ovvero cose che hanno effetti contrari a quelli attesi.

Tutta la storia per tutto il tempo. L’impresa italiana dovrebbe darsi un compito (non lo farà, ma dovrebbe). Riconquistare buona parte della credibilità perduta. Per farlo non rimane che una sola e facile via: occuparsi dei bisogni della gente, dare un segnale inequivocabile di capacità in qualità di soggetto economico di tipo manageriale, che ha il mercato come giudice del proprio operato, rivolgendo al contempo la sua attenzione alla creazione di valore dell’azienda e anche soprattutto alla diffusione dello stesso. Interpretare e discernere le semplici necessità del cittadino con la volontà e il desiderio di recuperare credito e riconoscimento e mettere qualcosa di sostanzioso e buono nel piatto. Un mondo d’impresa che crea eccellenza, dunque, e un cliente che vuole conoscenza senza confondersi con la possibilità di reperire informazioni. Stabilire un sano confronto che è poi riconquistare la sua fiducia senza la quale non esiste alcuna opportunità. Un incontro fra sostenitori di tesi, concezioni, programmi diversi, che si propone non tanto la lotta e la vittoria di una delle parti quanto la disponibilità a un dialogo aperto e sincero, risorsa e mezzo eccellente, questo, per creare prodotti di qualità.

Niente di eccezionale, s’intende, piccole cose non trapezisti pronti a tripli salti mortali. Cose che servono a dimostrare che ci si muove, si cambia.

Del resto chi è il consumatore, oggi: una persona fortemente condizionata dalla tecnologia, com’è noto. Sempre connesso e interattivo, individualista più fiducioso delle informazioni reperite attraverso i social che dalla pubblicità. Competente, attivo e protagonista: recensisce, commenta, partecipa a gruppi di acquisto collettivi, partecipativo e coinvolto nel processo di creazione del valore. Non si accontenta di acquistare un prodotto; non “compra”, non allunga la mano per prendere qualunque cosa senza leggere un etichetta. Non è fra quelli che quando vede un arancia con la scritta “buccia non edibile”, si comporta come se questo non lo riguardasse e con irritante apatia finge di scegliere il prodotto senza alcuna riflessione critica da parte sua. Una scemenza funzionale ad un sistema e ad una economia corrotta. Un imperdonabile e penosa indolenza nei confronti della realtà esterna e dell’agire pratico.  

Broccoli dalla Cina, che bontà! Compriamo il prezzemolo dall’India, perché no? Le arance, fragole, cetrioli, zucchine, aglio, olio di oliva e pomodori che hanno messo in ginocchio le produzioni nazionali? Che bravo, e come è generoso, il compratore, moderno ed esclusivo soggetto della nuova società universale del consumo, la quale non sarebbe più composta da popoli e tribù, ne da stati e nazioni o cittadini, ma soltanto da un’unica etnia di uomini e donne fisiologicamente predisposti a dare denaro per ogni merce trovata sullo scaffale.

Lo stesso inedito volgo teledipendente compulsivo affascinato da ogni tipo di esibizionismo narcisistico avido di spettacolo trash colpito dal chiacchiericcio politicamente corretto riproduttore della obsoleta dicotomia centrodestra/centrosinistra; custode fedele e servitore devoto dell’idea dominante di un potere unico, avente come obiettivo la flessibilizzazione consumistica, individualistica, narcisistica e cosmopolita delle masse, nell’ambito di un capitalismo “puro” tendente all’abbattimento di ogni ostacolo (morale, politico, economico e religiose) all’espansione illimitata della open society perfettamente confacente al dispiegarsi incontrastato di un modello socio-politico ed economico fondato sull’omologazione globale alla suindicata società del consumo.

No, il consumatore di oggi vuole fortemente condividere con gli altri la sua opinione, positiva o negativa che sia e partecipare al processo di miglioramento e pubblicizzazione di ogni tipo di merce. Rispetto al passato è consapevole di poter avere un ruolo “attivo” nel successo o insuccesso di un prodotto o servizio. In sostanza, dimostra di non essere più disposto ad accettare ciecamente e supinamente lo “stupidamente produttivo” o quella che possiamo anche chiamare “insensibilità aziendale”.

Lo stato di torpore in cui versa l’impresa italiana

(per valutare in quanta placida abulia sia stato trascinato questo paese si prega di andare sul sito di una qualunque azienda e cercare la voce “customer care” ed essere pronti a sganasciarsi dalle risate o a vomitare a seconda dei casi)

ha creato solo scatole vuote, parole altisonanti, strombazzamenti di fanfare (manca il saggio ginnico) al punto (per esempio) da creare pagine Facebook estremamente frequentate e con elevato grado di interazione, ridotte a una sequela di racconti sgradevoli e noiosi di clienti disperati in cerca di una risposta ai continui disservizi subiti.

La coerenza, meglio ancora la consistenza, impone un’immagine adeguata alla realtà.

Di cosa parliamo? Di storytelling aziendale, ovvio. Parola tanto pretenziosa e gratuita quanto inconsistente, l’ultima frontiera del marketing. Una narrazione del sé aziendale volta a creare un’immagine coerente e credibile, la nuova disciplina si è inserita di diritto tra gli strumenti indispensabili di ogni ufficio marketing e comunicazione aziendale. Molte imprese grandi e piccole sembra si siano convinte di quanto possa far bene agli affari avere una comunicazione che inserisca la propria storia, i propri valori e ogni dettaglio della propria attività in un contesto narrativo efficace e coinvolgente.

Che volete, il teatro è solo da qualche millennio che conosce il valore del racconto e l’incanto di una storia, conoscendone alla perfezione gli ingredienti di base. Non c’è da sorprendersi, che questi possano applicarsi alla letteratura, al cinema come alla fotografia, dal momento che la funzione fondamentale di una storia è sempre la stessa, indipendentemente dal mezzo utilizzato.

Il conflitto, necessario a creare tensione, dramma e profondità. Tutte le storie non sono altro che una cronologia, una serie di fatti collocati nel tempo, una catena di eventi attraverso cui esse progrediscono logicamente.

Gli esperti di marketing (solo quelli presunti naturalmente non altri) ci raccontano con forza eccessiva che “tutto è narrazione, la vita stessa lo è”.

Ebbene, a questa frase non corrisponde quasi mai un contenuto adeguatamente significativo, dal momento che omettono di spiegare quando una storia può definirsi tale. Quando, cioè, qualcuno si presenta a noi disposto a raccontarla. Quel fatto si fa storia solo in presenza di un narratore, il quale sceglie gli elementi narrativi, i raccordi che uniscono le scene principali e i particolari che caratterizzano i personaggi. Teatro insomma.

Ci dicono, inoltre (sempre i presunti esperti, non quelli bravi veramente) che tutti noi, in fondo, siamo abituati alle storie: sappiamo tutti raccontare cosi bene, ma soprattutto sappiamo ascoltare. Non è vero niente. La citazione di Paulo Coelho sopra è eloquente.

Questa foto racconta una storia? Ahimè no, nonostante la drammaticità dell’evento.

An Israeli soldier detains a Palestinian boy during a protest against Jewish settlements in the West Bank village of Nabi Saleh, near Ramallah August 28, 2015. REUTERS/Mohamad Torokman

e questa?

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questa si che racconta qualcosa….

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o questa….

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La Sarta del proprio destino

In questa foto, è possibile vedere una donna cucire un vestito che cade a terra e finisce in una sorta di visione di se stessa, e la visione è parte del vestito. Qui c’è un racconto straordinario che potete leggere direttamente dalla voce del suo autore.

http://retouchingacademy.com/storytelling-in-concept-photography-part-1-the-power-of-stories  

Seamstress Of Her Own Destiny

 

Parla, dunque! Fai sentire la tua voce e inizia a raccontare. Ti ascolteranno!

Avere il coraggio di affermare questo con estrema chiarezza. Da questa risposta, infatti, dipenderà il nostro futuro! Le parole aiutano a potenziare la nostra capacità di focalizzarci sugli obiettivi a breve, medio e lungo termine. Focalizzarsi su di un obiettivo ci aiuta a raggiungerlo con più facilità e senza inutili sprechi di energie. Molte persone non hanno ciò che vogliono semplicemente perché non esprimono con chiarezza i propri intenti futuri. Dunque, dobbiamo cominciare con il chiederci adesso, cosa vogliamo, cosa desideriamo. Il desiderio aiuta a focalizzare la nostra attenzione sull’oggetto dei nostri sogni e fa, al contempo, chiarezza sui nostri obiettivi futuri.

Il racconto rappresenta la storia, la quale, istituendo una serie di mediazioni, prima fra tutte la voce che assume su di sé la responsabilità dell’atto narrativo e della manipolazione dei fatti della storia, diventa discorso narrativo solo quando racconta una storia ed è narrato da qualcuno. Infatti, per definizione, l’evento narrato (cioè la storia) e l’atto narrativo (narrazione) esistono solo grazie al discorso narrativo (il racconto).

Che c’è di così emozionante in una mozzarella? Nulla in se, vorresti cercare emozioni in una mozzarella? Ma in una treccia arrivata fresca da San Severo in Puglia molto: è un luogo, una memoria e un sapore che sorprende. E’ lì la storia. Non si tratta più di una “cosa” ma l’evocazione di un mondo.

E se dovessi vendere una “Crostata con frolla alla ricotta di bufala con mirtilli semicanditi e panna cotta di bufala”? Cosa pensi che sia, un dolce e nient’altro?

Immaginiamo ora di dover vendere una casa. Abbiamo di fronte una coppia appena sposata che sta visitando le stanze, il soggiorno, un meraviglioso e luminoso terrazzo. Raccontiamogli le feste che potranno organizzare con gli amici e le divertenti serate a base di carne alla griglia e vino rosso. Oppure le romantiche cene a lume di candela nelle quali si dichiareranno un  amore eterno. Cosa stiamo vendendo? Una casa, delle mura su un terreno? No, è evidente. Vendiamo emozioni!

Le parole che pronunciamo divengono poi la vita che viviamo, il mondo che occupiamo. Il potere delle parole e delle narrazioni autoriflessive è proprio questo: creare il mondo (l’identità) che poi abitiamo. È altresì vero che solo prendendo maggiore consapevolezza delle narrazioni che ci facciamo possiamo modificarle e quindi modificare il futuro, per quanto ci è possibile.

Per capire di nuovo il mondo, c’è sempre l’antico da riscoprire

Gli strumenti crescono e si evolvono, ma la sostanza non cambia. Fin dalle più remote origini abbiamo usato pensiero e arte, poesia e narrazione, pittura e scultura, architettura e musica, spettacolo e teatro. Ci siamo sempre espressi per segni e simboli, gesti e parole, ragione ed emozione. Ma la risorsa fondamentale della comunicazione resta sempre la stessa: la nostra capacità di ascoltare e di farci capire.

Il Programma

L’AZIONE DEL COMUNICARE

La parola per conquistare, la parola per organizzare, la parola per convincere

Immagina che… noi stessi e le nostre idee. l’atto, il fatto e il modo del presentare

Il gioco della persuasione,  ovvero quando il messaggio potrebbe essere positivo, attraente, gradevole, divertente, chiaro, ordinato e compiuto, suscitare curiosità ed un benevolo interesse

L’AZIONE DEL VENDERE, L’AZIONE DEL RECITARE

La finzione è realtà e la realtà è in un pensiero

IL POTERE CREATIVO, OVVERO L’AZIONE FECONDA DELL’ESSERE E DEL FARE

La metodica e continuata efficienza fisica o mentale per attribuire un significato a ciò che si manifesta

Improvvisazione, ovvero l’arte e l’uso dell’essere all’improvviso per assumere un aspetto e una funzione insolita

IL LUOGO DELLA COMUNICAZIONE

Non siamo legati al luogo, ma costruiamo dentro il luogo: il nostro personale spazio scenico

I commenti e le domande sono bene accetti.

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