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Colloqui di lavoro

Appena ho finito di leggere una sequela di domande, a metà tra una trasmissione a premi e la stanza di una caserma dei carabinieri, che costituiscono lo standard nei colloqui di lavoro, e non ho potuto fare a meno di dire a me stessa che nemmeno mia madre potrebbe conoscermi abbastanza, dopo l’interrogatorio cui si è sottoposti per riuscire ad avere un lavoro. Magari normale, magari in un supermercato a controllare i prodotti scaduti o in un call center di quelli che, in genere, ti pagano con ritardo e malvolentieri o per niente.

Alcune in particolare mi hanno colpito per la banalità. Non perché il resto sia edificante ma presenta molti elementi da violazione della privacy e anche avances mascherate. Eccole: Quali sono le occasioni in cui litiga con le persone è perché. Quanto guadagna ora e quanto vuole guadagnare. Mi dica quali sono i suoi difetti e le principali qualità. Di solito cosa fa la sera e nei fine settimana. Cosa pensa del suo attuale datore di lavoro. Mi parli del suo peggiore e migliore datore di lavoro. Mi spieghi per quale ragione dovremmo assumerla. Perché si è candidato. Cosa pensa di avere più degli altri candidati. Che cosa pensa di questo lavoro.

A questi parvenues che credono di conoscere le persone con una raffica di domande dai contenuti scadenti e anche offensivi, e che forse verrebbero in mente invece, all’ultimo degli psicologi in una pesante mattina seduto sul water di casa sua, mi viene da dire così, in ordine sparso agli interrogativi che rasentano la Santa Inquisizione in braghe di tela. Al mondo nessuno è perfetto, se proprio devo elencare i miei difetti ti direi che ho una stitichezza cronica, il che mi rende spesso irritabile. Ma non posso farci nulla, perché nemmeno Mister Muscolo riesce a “sturarmi”.  Altro difetto: sono gelosa di mio marito e di recente mi sono scoperta un’invidiabile detective e scopro ogni bugia. E questo dovrebbe essere un pregio!

Ho l’alito cattivo, sempre, per la ragione di cui sopra. Ma mi puzzano anche i piedi e qui, la stitichezza non c’entra affatto. In genere litigo con chi mi rompe le balle e mi disturba mentre dormo, ma litigo pure con chi cerca di fare il furbo e mi vuole passare davanti mentre sono due ore che faccio la fila da qualche parte e, si sa, la vita la si spende per metà a fare file. Io non ho un datore di lavoro attuale, perché fino a poco tempo fa ce la facevamo con uno stipendio e ora, lo stipendio lo spendiamo in qualche ora. Perciò se voglio vivere devo lavorare. E allora cosa cavolo mi chiedi perché mi sono candidato! Se no me ne andavo allo zoo, stamattina, no? Poi mi chiedi cosa penso di avere più degli altri candidati. Eh Gesummio! Ma chi li conosce gli altri?

Per risponderti devo pur avere un metro di paragone! Più degli altri forse ho un mazzo di bollette alte così e cinquanta euro a settimana di pannolini da comprare e tutto il resto, ma questa forse è una discriminante: le mamme non hanno accesso al lavoro, disturbano. Mi chiedi quanto voglio guadagnare…. E se ti dico che mi andrebbero bene cinquemila euro mensili, me li dai? E se ti dico che ora non guadagno un piffero che fai, mi paghi con un piffero? Mi chiedi ancora che faccio la sera e nei fine settimana. Questa davvero non so come catalogarla: vuoi uscire con me? Il lavoro passa attraverso relazione promiscua?

Alla sera sarei sicuramente sfatta se dovessi lavorare con uno come te, che passa il tempo a sfracellarmi i maroni con le sue domande. E infine, ciliegina sulla torta, mi chiedi cosa penso di questo lavoro: ma belin, come faccio a saperlo, che nemmeno ho cominciato? Secondo me, libero mercato va bene, ma gli scemi in libertà che fanno danni, andrebbero un po’ frenati, controllati. Anzi, quando ci presentiamo per un lavoro, presentiamogli noi le domande. Provate. Come suonerebbe un: di solito cosa fa la sera e nei fine settimana, mi spieghi per quale ragione dovrei lavorare per lei, mi dica quali sono i suoi difetti e le principali qualità…Scommettiamo che si rifiuterebbero di rispondere? E allora, perché dovremmo farlo noi! Mica siamo schiavi. Un po’ di rispetto, via.

Anna Turrini (Genova)

teatroimpresa

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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