Quando si parla di prosperità

Quando si parla di prosperità in una organizzazione immaginiamo una serie di cose la cui somma da quel benessere soprattutto economico a cui noi tutti aspiriamo. Una di queste, per esempio, prende il nome di relazioni. Sono essenziali per promuovere un qualunque business, che è poi il fulcro dell’economia aziendale, la quale deve offrire esperienze innovative, intuitive e sicure, capaci di migliorare l’interazione del pubblico con il brand aziendale.

Ci sono naturalmente una serie infinita di altre cose da prendere in considerazione affinché si possa definire redditizia una attività.
Ogni relazione (qui intesa in senso lato e non solo dal punto di vista aziendale) porta con se una serie di esperienze attraverso le quali sperimentare una sequela di problemi emotivi e comportamentali.

Disagio, rabbia fastidio, insicurezza. Il timore che si venga giudicati in modo diverso da quanto ci si aspetta, visti in un modo che “non ci piace”. La curiosa sensazione che per una qualche ragione la relazione si possa interrompere. Paure, nient’altro, infondate magari, ma che impediscono di sentirsi libero e a proprio agio.

Fin dove, inoltre, ci si può spingere per comunicare ad altri quello che riteniamo giusto e “ci piace” e quello che “non ci piace” affatto e non vogliamo nel modo più assoluto avere.
Dunque, una relazione “utile e produttiva” non implica che ci si debba buttare fra le braccia di un altro ma necessita di una distanza la quale comporta chiarezza negli intenti.

Per esempio, non devo sentirmi obbligato a compiacere se non voglio, libero quindi di dire di no.

Cosa accetto e cosa preferisco, possono essere dichiarati senza alcuna apprensione?

Il mio punto di vista, ma anche i miei bisogni, posso esprimerli in piena libertà?

E’ estremamente facile sperimentare stati di tensione e un certo squilibrio, perché è facile essere sottoposti a pressione di ogni genere; tendenze, bisogni e motivazioni fra loro contrastanti. Il conflitto in sé non è “il problema” ma le persone che sono impegnate in esso possono esserlo.

Il loro livello di intelligenza emotiva, le esperienze passate e le risposte comportamentali in tal senso, la fiducia e la formazione limitata per trovare un risultato collaborativo al conflitto. Riconoscere i conflitti come occasione di crescita e maturazione personale e collettiva.

Il conflitto è talvolta inevitabile ma non per questo deve essere mortale e costoso; in realtà può essere sano e prospero. Perché questo accada, si presuppone da parte dell’individuo la comprensione del conflitto stesso fosse anche dal punto di vista emozionale. Comprenderne la natura, la fonte, l’escalation e la potenza.

Comprendere l’unicità di ogni persona, in termini di tipo di personalità, stili di leadership, lingue apprezzamento, stili di apprendimento, e stile di gestione dei conflitti.

Costruire una cultura di collaborazione? Facile a dirsi, anche perché il punto non è ciò che fai ma ciò che sei. Ispirare se stessi, la propria squadre ad amare ciò che fanno?

D’accordo, ma allora la domanda è: perché lo fanno?

Perché non costruire piattaforme di squadre intercambiabili per costruire una cultura di collaborazione?

Sai, il momento migliore per piantare un albero… è stato 20 anni fa, il miglior tempo successivo a quello per farlo di nuovo è oggi. Così lascia che ti chieda.
Qual è l’unica cosa che si può intenzionale fare in questo momento? Dunque, qualunque cosa a cui pensi, includila tuo sguardo, la vedi e senti reale, e guardando la riconosci.

teatroimpresa

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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