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La piaga della fame nel mondo

è arrivato un bastimento carico di niente

l’economia ingiusta che produce nuovi schiavi

di Emanuela Formentin

Ogni tanto si torna a parlare di fame. Prima di cena naturalmente. Eppure, un elenco lunghissimo è quello degli organismi che si occupano di combattere la fame nel mondo. Una battaglia di natura diversa dalle guerre che imperversano su questo pianeta ma le cui vittime rispondono ugualmente a cifre sconvolgenti, ai cui dati del 2006 di 854 milioni, rischiano di aggiungersi altri cento milioni nel corso del 2008. Oggi non so. Dati destinati ad aumentare nonostante le misure adottate, i programmi, gli Organismi coinvolti, i patti e i Diritti Umani che sembrano sempre essere circoscritti a materia di conferenze, a volte culminanti in pranzi ufficiali pantagruelici. Si dice che sul pianeta ci sia cibo sufficiente per l’intera popolazione mondiale. Ma, nonostante ciò, la fame affligge ancora una persona su sette.

Paradossalmente le risorse agricole di tanti paesi poveri, servono a soddisfare i bisogni dei paesi ricchi. Va da sé che il problema non è la produzione ma la distribuzione, la volontà di destinare il cibo in modo equo e giusto. Sebbene l’articolo 11 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, reciti espressamente il riconoscimento del diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, appare difficile comprendere l’aumento di affamati. E se il problema investe la volontà di distribuire in modo equo e giusto le risorse, dove risiede l’empasse? E, soprattutto, non ha dell’assurdo riconoscere il diritto a mangiare? Dove nasce un diritto è perché si è violato il dovere, l’osservanza di quelle norme che tutelano i diritti assoluti di ciascuno che sono innati, dunque non concessi da alcuno ma efficaci erga omnes, verso tutti. E se qualcuno ha trasgredito le regole, stati in libera ascesa nello sfruttamento e organismi in tacito e colpevole consenso, perché non rimediare nel modo più ovvio e naturale, visto che le Leggi regolano le pene per la trasgressione delle norme? Forse i diritti nascono per far sì che i “deboli” possano nutrirsi della speranza di una protezione nei confronti dell’ingiustizia? Dare loro l’illusione di potersi appellare al rispetto dell’esistenza, regole nate con uno scopo ma che rispondono pur sempre all’inganno? Insomma, siamo certi soltanto di avere diritti in modo indirettamente proporzionale alla certezza che questi siano rispettati.

E qui si innesca il trittico della schiavitù: povertà, lavoro, sviluppo, che alimenta l’economia mondiale e che si traduce inevitabilmente con il non poter usufruire di cure mediche adeguate, non avere accesso all’istruzione. L’indigenza significa dunque mancare di tutto, vivere in povertà assoluta dove l’accesso ai beni essenziali rendono i livelli di vita al di sotto delle minime condizioni accettabili. Conseguenza di questo è l’esclusione dalla società, privando le persone del diritto a vivere una vita piena, produttiva, serena. L’economia ingiusta pone riflessioni che spesso sono l’una la negazione dell’altra. Se infatti  la povertà esiste come effetto della violazione dei diritti umani, ne consegue che la povertà stessa diventa causa che porta alla negazione dei diritti di partecipazione alla vita culturale, politica ed economica. Se l’articolo 11 del Patto Internazionale afferma il diritto alla “libertà dalla fame” e questa ha come conseguenza la morte, si nega il  primo diritto fondamentale: il diritto alla vita, alla dignità come esseri umani. In definitiva, pur parlando di libertà, essa viene costantemente negata, volontariamente o meno, reiterando quotidianamente un vizio di fondo che, molto semplicemente forse, non si dovrebbe ascrivere all’ambito dei diritti ma a quello degli obblighi unilaterali da parte degli stati. A questi spetta il dovere, infatti, di garantire gli interventi, non già enunciare bellissimi trattati e norme che, come materiale teorico, restano inarrivabili chimere mentre milioni di esseri umani restano in attesa di cibarsi. Non di parole.

teatroimpresa

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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