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Michelangelo era ricco

Michelangelo era ricco?

La storia è questa.

E’ il 1995, un professore americano fa una scoperta insolita. Alla Syracuse University di Firenze, Rab Hatfield sta cercando di abbinare le scene della Cappella Sistina alle date, cioè quando Michelangelo ha dipinto ognuna di esse.

Michelangelo è un tipo impaziente, avido di commesse, fedele a se stesso solo non tollera rinchiudersi nei limiti del solerte artista di regime.

Accetta continuamente commissioni da clienti privati e pubblici e per onorarle tutte dovrebbe metter su un impresa tradizionale, una bottega vera e propria con una ferrea divisione del lavoro. Forse qualcuno gli avrà pure consigliato di farlo.

“Io non fui mai pictore ne scultore come chi ne fa boctega. Sempre me ne son guardato per l’onore di mie padre e de mia frategli”.

Non ha nessuna intenzione di aprir bottega, non la desidera e quindi promette molto e molto lavoro lascerà in sospeso o non comincerà neppure. L’elenco dei committenti frustrati si allunga a vista d’occhio.  

Il professore pensa che può esserci una qualche carta che gli possa far capire meglio la situazione. Va quindi negli archivi della città e piacevolmente sorpreso dalla facilità con cui trova i documenti bancari vecchi di cinquecento anni, inizia a ricostruire una timeline più accurata su come quel soffitto sia diventato il più famoso del mondo.

“Stavo davvero cercando qualcos’altro!” “Ogni volta che mi imbattevo in qualcosa, è perché stavo cercando qualcos’altro. È quando non ti aspetti che scopri davvero qualcosa”.

Con un dottorato di ricerca ad Harvard, il professor Hatfield inizia la sua carriera a Yale nel 1966, prima di trasferirsi alla Syracuse University nel 1971, e in tutto quel tempo di insegnamento della storia dell’arte, non aveva mai incontrato nulla di simile. Quello che ha trovato non è quello che ti aspetteresti di trovare nel conto in banca di un artista, anche uno la cui fama sarebbe cresciuta con il passare dei secoli.

“Non so quanto voi sapete di Michelangelo, ma di solito ci hanno insegnato che ha lottato come Vincent Van Gogh”.

Per secoli, questo è ciò che gli storici hanno creduto del grande maestro del Rinascimento. Nient’altro che un artista affamato come tanti, che lotta per sbarcare il lunario. Lo stesso Michelangelo abbraccia questa immagine, vivendo frugalmente e lamentandosi spesso del denaro. Una volta scrisse in un poema che la sua arte lo aveva lasciato “povero, vecchio e funzionante come servo degli altri”.

Ma non stava dicendo la verità.

Quando Rab Hatfield scava in quei vecchi documenti bancari, la verità sull’artista più famoso del Rinascimento è finalmente rivelata.

Non stava affatto lottando. Non era povero, e non stava morendo di fame per la sua arte. Michelangelo era, infatti, molto ricco. Il professor Hatfield ha mostrato un saldo di centinaia di migliaia di dollari, ed è una rara somma di denaro per un artista dell’epoca. Con la sua insaziabile curiosità, va a vedere se ci sono altri documenti bancari e in effetti ne trova. Ce ne sono altri, molti ma molti di più. Alla fine, scopre una fortuna del valore di circa $ 47 milioni oggi, rendendo Michelangelo l’artista più ricco del Rinascimento.

E questa è una storia che ci sorprende.

Perché?

Siamo abituati alla solita narrativa, che dice più o meno – “guarda che gli artisti a malapena riescono a cavarsela”. Eppure Michelangelo non soffrì ne morì di fame per il suo lavoro. Era un multimilionario, un imprenditore capace, un genio ben pagato. Insomma, il grande maestro scultore e pittore non lottava affatto per la sua arte, ma era un produttore di successo. Il  mito dell’artista affamato non era cosa adatta a lui.

Duecento anni dopo la morte di Michelangelo, nasce in Francia Henri Murger, figlio di un sarto e di un portiera. Vive circondato da straordinari geni creativi e sogna di unirsi a loro, ma si sente frustrato dalla sua incapacità di trovare sicurezza finanziaria. Nel 1847, Murger pubblicò ” Scènes de la vie de bohème” , una raccolta di storie che giocavano al romanticismo romantico. Il risultato fu un plauso letterario, una lotta persistente e una fine prematura di una vita squattrinata.

Il libro va così così, un po’ zoppicante dopo la morte dell’autore, adattandosi prima come opera “La Bohème” e più tardi come film, ottenendo finalmente ampi consensi con spin-off, tra cui Rent e Moulin Rouge.

E’ Murger’s Scènes ha lanciare il concetto dell’artista affamato nella comprensione del pubblico come modello per una vita creativa. Ancora oggi, immaginiamo esattamente questo pensando alla parola artista.

La storia dell’artista affamato oscura la silenziosa e relativamente sconosciuta storia del successo di Michelangelo ed è diventata la nostra più popolare comprensione di ciò che è possibile per i creativi, vale a dire, non molto.

Oggi, troviamo i resti di questa storia quasi ovunque.

È il consiglio che diamo ad un amico che sogna di dipingere per vivere, quello che raccontiamo a un collega che vuole scrivere un romanzo, o anche il racconto di ammonimento che diciamo ai nostri figli quando escono nel mondo reale. Stai attento, diciamo minacciosamente, “non essere troppo creativo potresti morire di fame”.

La storia dell’”artista affamato” è un mito. E come tutti i miti, è una storia potente, con cui possiamo orientare la nostra intera vita.

Grazie alla forza e al potere del mito, molti di noi prendono strade sicure nella vita. Diventiamo avvocati invece di attrici, banchieri invece di poeti e dottori invece di pittori (questo nel migliore dei casi evidentemente). Proteggiamo le nostre scommesse e ci nascondiamo dalla nostra vera vocazione, scegliendo carriere meno rischiose, più redditizie e talvolta più facili.  Dopo tutto, nessuno vuole lottare, quindi manteniamo la nostra passione un hobby e seguiamo un percorso prevedibile verso la mediocrità.

Ma se potessi guadagnarti da vivere come artista e non dover morire di fame per farlo? Cosa cambierebbe nel modo in cui affrontiamo il nostro lavoro e in che modo consideriamo l’importanza della creatività nel mondo di oggi? Cosa significherebbe per le carriere che scegliamo e per i percorsi verso i quali spingiamo i nostri figli?

… una volta, quando il mondo era disgraziato e misero, i contadini che aspiravano a diventare “soldati”, lasciavano i campi e bussavano alla porta del castello chiedendo di essere accettati ad intraprendere l’addestramento alle armi. Altri, il cui desiderio era trascorrere una vita sacra e solenne ed esistere semplicemente nella preghiera, rispettosamente battevano le porte dei conventi supplicando di essere accolti come postulanti. Chi sentiva di essere dotato di particolari inclinazioni o attitudini, cercava la bottega e domandava di diventare apprendista, il maestro si assumeva l’incarico di insegnare il mestiere al giovane praticante, che poteva o meno ricevere una paga e vedersi garantiti vitto e alloggio. Gli attori e i poeti andavano di piazza in piazza tra carestie e povertà. Chi voleva forgiare la sua stessa spada chiedeva umilmente al fabbro di insegnargli e impiegava molto tempo e fatica per diventare davvero bravo in questa nobile arte. Chi voleva cucire andava dal sarto e chi amava cucinare chiedeva al cuoco migliore che conosceva. Tutti volevano crescere e migliorarsi, ognuno nella propria arte, ognuno nel mestiere o professione scelta.

Nel mondo di oggi cosi abbondante ed enfatico, un uomo è capace di parlare alla propria donna così: “Non sto bene. Non so neanche io cosa mi stia succedendo, come posso spiegarlo a te?”

Che dire?

Antagonist

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teatroimpresa

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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