Non sei mai solo con un miliardo

Risanare il debito pubblico si può: basta non spendere. O forse c’è un’altra soluzione

di Paolo Monaco

Miliardo in più miliardo in meno, cosa volete che sia, insomma paghiamolo questo benedetto debito pubblico. Una volta per tutte, e non se ne parli più. Quant’è esattamente? Qualcosa come 2.500 miliardi. Di euro? No, sacchi di patate, euro naturalmente. E va bene non sono pochi, ma facciamo un piccolo sforzo e via. Chiamalo piccolo, dovremmo lavorare per oltre dieci anni senza tenere nulla per noi, vale a dire senza mangiare, senza bere, senza tempo libero, senza fare figli, stando attenti persino a respirare. In sostanza inestinguibile. Chiunque si affacci alla vita per le prossime generazioni avrà questo peso sulle spalle. E poi chi è il nostro creditore, a chi dobbiamo questa montagna di soldi?

Perché, sapete, potremmo fare anche i furbetti e far finta di niente e rifilargli un bel pacco, come si suol dire, una bella fregatura. Chiunque esso sia. Che ne pensate, non è una buona idea? A parte tutto è veramente un esempio illuminante del vicolo cieco in cui ci siamo cacciati. Un’economia il cui debito non solo non potrà mai essere pagato, ma che cresce in misura maggiore dell’economia reale. Un’economia dove la totalità degli investimenti viene finanziata con soldi ottenuti tramite l’indebitamento degli imprenditori, e non con i loro risparmi. Un debito di questa entità non è più un debito, è una follia. Il debito pubblico, così si dice, è la somma dei debiti dello Stato e degli Enti pubblici non economici, mentre il deficit pubblico è l’importo che deve essere annualmente finanziato per coprire il disavanzo dei conti dello Stato, disavanzo che nasce da un eccesso di spesa rispetto alle entrate ordinarie. Quindi per ridurre il debito pubblico basta ridurre la spesa, e ciò non ha nulla a che fare con la moneta.

Il debito pubblico nasce dal deficit, non dalla monetizzazione: deficit che in Italia ha finanziato pensionamenti anticipati, aiuti alla Fiat, milioni di dipendenti pubblici, opere pubbliche costosissime e altri modi per comprare voti alle elezioni. Così si dice. E allora non c’è nulla di cui preoccuparsi, basta ridurre il deficit, ovvero non spendere nulla e in poco tempo abbiamo risolto la questione. Guardate come i banchieri centrali sanno consigliarci e indirizzarci verso la retta via, mentre i cattivi politici non fanno altro che spendere e spandere. Un momento, però. Se vogliamo fare un buon lavoro dovremmo rivedere gli accordi di Maastricht. Eh si! Infatti le emissioni in deficit pubblico devono essere commisurate al prodotto interno lordo. E per i suddetti accordi il requisito essenziale per entrare nell’ambito della moneta unica è che il deficit pubblico non superi annualmente il 3% del PIL.

Che curioso… tali emissioni vengono calcolate sulla base di quanto prodotto dai cittadini, ma non vengono erogate a loro favore che, con il proprio lavoro ne hanno consentito l’emissione. Al contrario, sono poste a loro carico. Infatti, le emissioni in deficit pubblico, vanno ad aggravare il debito pubblico e questo si scarica prima o poi sulla fiscalità ordinaria. Con l’assurda conseguenza che più si produce e più ci si indebita in termini assoluti. C’è qualcosa che non va. Sicuramente i signori delle banche centrali e i proprietari delle stesse non permetteranno mai una stravaganza del genere. Hanno una risposta e sapranno consigliarci. Per il nostro bene, naturalmente. Sono loro i saggi.

teatroimpresa

Interessato al mondo della comunicazione e formazione in generale, (e in particolare al più importante mezzo di comunicazione di massa, come quello televisivo) nelle sue mille sfaccettature, in considerazione dell’importanza crescente che i processi di comunicazione acquisiscono nell'ambito della società moderna determinando così profondi cambiamenti nei modelli di comportamento e nelle relazioni sociali. Sono altresì interessato al processo di formazione dell'arte in una società tecnologicamente avanzata come la nostra, in cui la realtà virtuale è sempre più pressante e invadente. L’attività si sviluppa attraverso un’associazione che opera in continuità con la propria vocazione no profit e che incarna la vocazione alla partecipazione e alla ricerca presupposti irrinunciabili ai fini di una coerente ed efficace azione progettuale e una società dedicata alle componenti progettuali e gestionali dell’azione in campo culturale, e che consente una risposta più efficace e pertinente alla crescente domanda di un approccio imprenditoriale e di una visione aziendale nella gestione dei mercati culturali.

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