teatro d’impresa

revolutionE’ stato detto che il Teatro d’impresa è uno “strumento innovativo che offre ai partecipanti la possibilità di riflettere sui propri comportamenti” non è vero? Riflettere sui nostri e altrui comportamenti è uno stile di persone ben educate sul lavoro. Ciò porta ad essere informali nei modi ed attenti ai contenuti, flessibili e pieni di sfumature.

Detta così sembra una cosa buona e interessante, non c’è dubbio.

E’ stato detto che il Teatro d’impresa è “un processo attivo di interpretazione e ristrutturazione della realtà particolarmente utile in ambiti di apprendimento adulto”.  Molto bene!

Ora, in una società moderna, dove la caratteristica principale è la fretta, dove si cammina con un costante fastidioso rumore in sottofondo, e corri da una parte all’altra della città tutto il giorno, esiste ancora il silenzio?

Prova, se riesci, a ritagliarti uno spazio e restare in una condizione di “sovrumano silenzio, e profondissima quiete” (una piccola citazione da Leopardi) e fai in modo che le parole scorrano dentro di te, risuonino in ogni angolo della tua mente, sentile in ogni fibra del tuo corpo;

ristrutturazione della realtà”, cosa vuol dire esattamente?

Il silenzio è necessario per il vero ascolto. Oggi siamo ancora capaci di “ascoltare”?

Una mente che osserva se stessa nel silenzio più assoluto, con l’unico desiderio di condividere semplicemente l’essenziale, quello che basta per dirsi tutto, respirandone una felicità inspiegabile, un fiume di emozioni che lentamente sale dallo stomaco. In genere siamo convinti che stare insieme, condividere qualcosa, voglia dire parlare parlare e ancora parlare; ma così le parole divengono inutili orpelli imbarazzanti, vuoti da riempire, vuoti a perdere.

Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente. Migliaia di uomini si son fatti uccidere per parole di cui non hanno mai compreso il significato, e spesso anche per parole che non hanno nessun significato.

Altre citazioni, altri nomi, ma ciò che conta ora è la sostanza.

“Le parole sono pietre”, così Carlo Levi intitolava un suo libro di denuncia della situazione siciliana. Lo sono davvero, con un peso una forza e una gravità senza pari. Ma la realtà rispecchia la loro efficacia? Riescono ad incidere sulle cose essenziali della vita? Direi di no, quando proviamo ad ascoltare, per esempio, l’uso strumentale che i nostri politici, opinionisti e tanti altri esperti in ogni situazione professionale, ne fanno, gettate in faccia di noi ascoltatori per poi sfruttarne la reazione, scrutarne l’effetto, pronti a cogliere la possibilità di modificarne il valore ed il senso. Perché?

Perché dietro a quelle parole non c’è un pensiero, un’idea da realizzare, un progetto da perseguire, ma solo l’attenzione all’effetto, il miraggio di raggiungere dei risultati a proprio vantaggio, attraverso il tentativo di provare ed eventualmente modificare o addirittura smentire in caso che si veda che il discorso non va verso dove si vorrebbe, adducendo sovente la scusa di essere stati fraintesi.

Gli esperti siamo noi, intendo tutti noi

Non passa giorno… c’è sempre un esperto pronto a suggerire come allevare figli, cosa mangiare, quale costume indossare, perché sapete… non è opportuno presentarsi in spiaggia con la ciccia flaccida.

Sono quasi 3 anni che aspetto di realizzare il mio sogno, quello di dimagrire e di considerarmi normale nella società… amico obeso sono con te”.

Sanno già come votiamo. Li guardiamo in tv, li ascoltiamo alla radio, leggiamo le loro opinioni su riviste e giornali. Sono autorevoli, almeno così sembrano. Ma questi esperti sono stati selezionati e meticolosamente addestrati per sembrarci tali.

E le Istituzioni in tutto questo?

Sono mosse dalle migliori intenzioni naturalmente. Credono o vogliono far credere di voler “diffondere la cultura d’impresa tra i giovani e trasformare le opportunità delle idee in opportunità economiche”. Non lo faranno mai, non possono farlo. Certo, hanno anche dei buoni progetti, pronti a “favorire la produzione e la circolazione di idee e conoscenze, per trasferirle poi nei prodotti e nella cultura del quotidiano”. E l’obiettivo è sempre quello di sensibilizzare, rafforzare, investire.

Parole, nient’altro. Il linguaggio è azione sociale, crea effetti precisi… mentre nella realtà tutto è immobile e non si vede l’ombra di un cambiamento. La Treccani riporta la seguente definizione: «atto ed effetto del diventare diverso».

“È una delle parole più utilizzate durante le campagne elettorali. È il punto di partenza di chi è all’opposizione e in alcuni casi il punto di arrivo di chi governa (bene). È l’ambizione annunciata di tutti i politici e il desiderio spesso insoddisfatto di quasi tutti gli elettori. Scalda i cuori, e in alcuni casi li terrorizza. È la parola cambiamento.”

E’ una società, questa,

lontana dai nostri problemi, che non ci aiuta, non ci sostiene al massimo delle proprie capacità. Questo disagio è frutto della sfiducia che abbiamo nei comportamenti delle istituzioni. Da dove nasce, altrimenti, la stanchezza, la delusione, l’incomprensione?

Ora, sono perfettamente consapevole che il Teatro d’Impresa non intende sostituire le metodologie formative tradizionali, e che viene bensì proposto come loro supporto. Nonostante ciò io ti dico, elegantemente ti dico, basta! Basta con il Teatro d’Impresa; è antiquato, attardato, obsoleto, sorpassato, superato, tradizionale. Che meraviglia la lingua italiana, non trovi? Mille aggettivi per dire la stessa cosa, una montagna di sinonimi da poterci seppellire un intero edificio.

Un magnifico, sontuoso edificio

Che gradevole spettacolo offrono con le strade pulite e gli eleganti edifici; il corso principale dove distinte signore vestite con cura e buon gusto passeggiano tutte provviste di ventaglio rendendosi graziose e seducenti con il loro portamento in modo piacevole. Le botteghe, i caffè sempre illuminati nelle calde sere d’estate e l’eterna calca che stiva tutto il giorno le strade e che si muove in tante direzioni prolungandosi fino a notte fonda, rendono gli incantevoli paesi e i piccoli centri di provincia sorprendenti, magici, unici.

Non sono immagini di altri tempi, ci sono ancora.

Così come le immense periferie delle grandi città: che impressione e che tristezza! Un sentimento di repulsione e disgusto, una sensazione violenta provocata da ciò che appare così crudele da ripugnare alla vista e alla morale. Le conosciamo molto bene: Roma, Genova, Milano, Torino, Napoli, Palermo. Il nulla sotto tutti i punti di vista, perfettamente compatibile con lo spirito dei nostri tempi. Quell’orrore, pensi sia un fatto occasionale dovuto alla stupidità di questo o quell’amministratore pubblico? Si, anche!

E’ soprattutto un linguaggio.

L’estetica, che prima era uno degli elementi cardine dell’espressione artistica e architettonica, non è più considerata un valore. Il concetto di bellezza è stato distorto in nome dell’innovazione, oggi siamo moderni e internazionali: dobbiamo esserlo, per forza. Quegli obbrobri sono un inno alla globalizzazione e al consumismo, come se i luoghi e la storia (la tua, la nostra storia) non contassero più nulla. Lo so a molti piace questo tipo di linguaggio. Per questo è il modo vincente di fare architettura, cosi come è il modo vincente di fare Teatro d’Impresa; è facendo questa roba che si fanno soldi.

Ma cosa c’entra tutto questo con il Teatro d’Impresa?

E’ scritto qualche riga più sopra ma lo ripeto ancora: tutto è distorto in nome dell’innovazione, siamo moderni, innovativi e soprattutto internazionali; il Teatro d’Impresa non nasce in Italia.

E’ stato detto che il Teatro d’Impresa può avere diverse forme a seconda del contesto e degli obiettivi in cui questo viene proposto, e che non è possibile racchiudere in categorie nettamente separate tutte le diverse combinazioni di Teatro d’Impresa. Lo so!

Alcune tipologie che fanno da base per successivi incroci e combinazioni possono essere comunque individuate come per esempio le “lezioni spettacolo”. Sono ritenute il punto cardine del Teatro d’Impresa e sono come quelle periferie: raccontano la miseria del mondo. Ma poi, sulla base di quali testi? L’idea è che ogni azienda abbia una storia da rappresentare, processi emotivi su cui si può lavorare in modo analogico. In scena si evocano esperienze personali; il formatore poi, spiega quello che è stato rappresentato, rende conscio il vissuto. Il testo scritto presentato come evento, con l’intenzione di modificare qualcosa. Che cosa esattamente? E’ semplice, vogliono aggiungere materia e talvolta opporsi alla tua esperienza abituale. Un opposizione tra ciò che è vecchio e ciò che è nuovo; il vecchio sei tu, il nuovo sono loro. Ma acquisire esperienza è ristrutturazione di cose che già possediamo, non si aggiunge nulla.

La tua storia conta veramente poco, se qualcosa tende a uniformare i tuoi gusti e le tue scelte; la tua storia conta veramente poco se qualcosa ti spinge ad adattare la tua mentalità alla cultura imperante del Teatro d’Impresa; la tua condotta a desideri che non ti appartengono. Come uno scrittore che cerca di adattare il proprio stile a quello di altri. Non vuoi essere tu a scrivere i tuoi successi e anche (perché no) i tuoi insuccessi? Insuccessi che possono diventare fonte preziosa di insegnamento e di crescita.

Hai mai visto quei manuali di vendita dove all’ultima pagina ti chiedono di dedicare 5 minuti di tempo (pensa solo 5 minuti) per definire un piano personale di miglioramento, traendo spunto dalle parti del libro che più ti hanno stimolato (stimolato?). Con una bella tabella, da una parte ti invitano a indicare l’obiettivo, mentre dall’altra devi elencare gli indicatori di successo, vale a dire ciò che ti farà capire di essere sulla strada giusta per raggiungere quell’obiettivo, chiudendo con un ben augurante; buon lavoro.

Immondizia, non c’è sostantivo più facile e sbrigativo di questo; buttalo via se non l’hai già fatto.

Hai forse bisogno che qualcuno ti dica di non terminare la transazione con una nota negativa, che qualcuno ti insegni attraverso un manuale il buon senso e la cortesia? Perché un cliente è insoddisfatto? Se cerchi la risposta leggendo un manuale, ti invito a riconsiderare la tua scelta. Forse il venditore non è il tuo mestiere.

Oppure vuoi promettere ciò che non puoi mantenere; lo faresti al tuo migliore amico? Certo, il manuale ti spiegherebbe di non farlo. Un Marketing manager ti dice (ti dice non ti insegna) di “capire la personalità del cliente”. Accade, non dirmi di no. Sapevi che il termine deriva dal latino “persona” e stava ad indicare la maschera che gli attori usavano per recitare? Cioè, “parlare attraverso (per) il foro della maschera da cui usciva il suono (sona) della loro voce”. Lo si faceva anche per dare modo al pubblico di riconoscere subito il personaggio rappresentato. All’attore il compito di enfatizzare le caratteristiche del personaggio stesso.

Nella realtà sei tu a indossare la “persona” ovvero la maschera attraverso la quale tu pensi di interpretare il personaggio “venditore”. Dunque quello che gli sciocchi ti invitano a conoscere non è la personalità, ma una maschera che entrambi (tu e il tuo potenziale cliente) indossate. Rifletti la prossima volta che qualcuno ti invita a farlo. La personalità, che oggi indica caratteristiche e peculiarità di un individuo è cosa non sempre semplice e chiara da identificare, “alla base della quale ci sono sentimenti e comportamenti e stili di vita di un soggetto e che risultano da fattori temperamentali dello sviluppo e dell’esperienza sociale”. Individuare la personalità è veramente straordinario, e una volta individuata, che cosa ancora consigliano di fare? Ti chiedono di azzeccare l’approccio, più discorsivo o più concreto a seconda del tema dell’incontro. Non è così?

Dunque, di cosa abbiamo bisogno?

E’ di un avant-garde che si ha bisogno, di truppe che avanzano e procedono decise e determinate, c’è un mondo da conquistare e da cambiare, non da raccontare; lo conosciamo già. Di una forza poderosa in movimento in grado di sconvolgere lo status quo, pronta a far nascere una nuova cultura sociale positiva e consapevole.

Un venditore è un venditore e si impegna a lavorare sistematicamente tutti i giorni, un lavoro lungo e delicato attraverso un’azione impeccabile. Un venditore può ben conoscere i propri difetti. Ma conosce anche le proprie qualità. Perché non dovrebbe? Non parla mai di “opportunità”, egli stesso è la sola e unica opportunità. Un buon venditore cerca di scoprire su cosa può contare, verifica sempre il contenuto della sua inseparabile “bisaccia”: volontà ferma, costanza, coraggio, irresistibile desiderio di amare, spirito di sacrificio.

Egli può credere fermamente proprio come possono credere i bambini. Se è in un miracolo, i miracoli cominciano ad accadere, perché no. Se ha la convinzione profonda che il proprio pensiero possa cambiargli la vita, la sua vita comincerà a cambiare, perché no. Si è vero, a volte è deluso, a volte è ferito. E allora?

Un buon venditore non condivide il suo pasto con chi vuole fargli del male; non con l’invidia, non con l’insofferenza, la gelosia, la rivalità, astio e acrimonia, il malanimo, il livore, la rabbia, il risentimento, la stizza. Non sono inviatati alla sua tavola. E tanto meno lo si vede in compagnia di coloro che desiderano “consolarlo”. Proprio nel momento in cui è ferito e deluso desidera più di ogni altra cosa la solitudine e diffida di coloro che gli si avvicinano solo in caso di sconfitta. Sono falsi amici che vogliono mettere in evidenza la sua debolezza; con la scusa di “essergli solidali” gli riempiono la testa di “cattive notizie”. Sanno anche piangere per solidarietà, e spesso lo fanno, ma nel profondo del cuore sono contenti di vederlo così abbattuto e non capiscono che perdere una battaglia fa parte del combattimento. Un buon venditore sa riconoscere i veri amici e cioè quelli che stanno al suo fianco in ogni momento, nelle ore difficili e nelle ore facili.

Un buon venditore sa osservare in modo distaccato e il suo pensiero non è macchiato da alcun giudizio, non c’è compiacimento né rifiuto nei confronti degli aspetti del proprio carattere che inevitabilmente vengono alla luce. Egli si sforza, consapevolmente, di restare al di sopra “del giusto e dello sbagliato” in tutte le questioni che gli si presentano, interiori o esteriori che siano. Perché? Un’osservazione neutrale applicata a tutte le manifestazioni di giudizio, desiderio, fastidio, depressione o contentezza … che fanno parte della sua personalità, fa sì che queste perdano progressivamente potere su di lui, divengano oggetti da lui slegati, fino a sciogliersi, a perdersi. E insieme ai desideri e alle repulsioni si perde anche quel piccolo io che da essi era tenuto in vita.

E dunque buttate via l’ultima fatica della Littizzetto e le nuove ricette della Parodi (lo dico in senso figurato dal momento che può essere piacevole ascoltare la Littizzetto e le ricette della Parodi sono deliziose) e cercate lo scrittore sconosciuto, quello di cui non si conosce nulla e nulla lo distingue da una persona comune, ama la solitudine e magari ha avuto un’infanzia infelice. E’ li il nuovo mondo, o forse no non lo sappiamo, ma è un possibilità. Una possibilità di cambiamento.

Un cambiamento sostanziale, non è questo che vogliamo? Un’altra vita, decisamente nuova, dove quel “decisamente” spiega tutta l’insoddisfazione di chi vive all’interno di idee, abitudini, schemi e luoghi che vorrebbe modificare.

Idee, abitudini, schemi e luoghi. Cosa sono? Un sistema, costituiscono un sistema, ne sono gli elementi fondanti indispensabili per istituire, creare quel sistema. In questo modo risulta facile incentrare il potere sulla pratica pragmatica e metodica della menzogna.

Gli individui (cioè noi) che compongono le moderne società non conoscono la verità. “Il loro pensiero omologato e omologante, è il risultato di un libretto di istruzioni che il “Sistema Mediatico” distribuisce loro, e che, gli stessi, interpretano alla lettera in ogni punto. Questo succede, perché al di fuori della recinzione ad alta distrazione mediatica che circoscrive la loro apparente esistenza, non saprebbero sopravvivere. E’ una “Grande Gabbia” all’interno della quale tutto diventa relativo”.

Il giusto e l’iniquo si confondono, la licenza si fa libertà, la contraffazione verità, il falso spodesta l’originale, mentre lo scempio ambientale si fa progresso.

E spesso anche la bellezza si prostituisce, alle lusinghe della perversione.

Tutto sommato, è meglio restarcene buoni dentro la Grande Gabbia, dove tutto è già codificato e programmato, dove ogni più remoto barlume di consapevolezza e discernimento è cancellato, e principi e valori non sono che le parole sconosciute e vuote di un mondo ancestrale, di una dimensione onirica e di un tempo eroico che fu. Tutto questo, di contro, induce a forme di frustrazione, di depressione e di smarrimento, panico, al quale, il Sistema, cerca di ovviare mettendoci a disposizione nuovi strumenti di comunicazione virtuale, atti a fare interagire in tempo reale, i vari sentimenti di rabbia, di indignazione e di immaginifiche rivoluzioni e sommosse. In questo modo il Sistema ci disattiva, rendendoci inoffensivi, tenendoci impegnati e dandoci l’impressione di essere protagonisti e possibili artefici del cambiamento. Di privato, non è rimasto nulla. Per questa inedita specie umana, non vi è alcuna speranza di riscatto essendo la sua mente, oramai, completamente plagiata e la sua volontà e reattività ridotta ai minimi termini.

La passione per la terra si è estinta, e la fatica per il lavoro dei campi è un ostacolo insormontabile.

Nella Grande Gabbia ci siamo imprigionati volontariamente, dopo averla noi stessi costruita, recidendo ogni rapporto con il mondo dello spirito. Ogni parametro di riferimento e di comparazione logica (necessari per giungere a decifrare e definire scelte oggettive di stampo etico), sono stati per sempre rimossi dalla nostra coscienza, e la nostra consapevolezza, è limitata all’area occupata all’interno della Grande Gabbia, dove tutti, trascorriamo una vita artificiale. Questo tipo di particolare schiavitù, (eccezionale nella storia dell’umanità) ha privato l’individuo, dell’alba e del tramonto, a mezz’aria fra un presente assente e un domani inesistente.

Un mutante umanoide, risultato ultimo di un processo regressivo di omologazione cognitiva che, inverosimilmente, lo stesso, ha pianificato e reso operativo – un caso unico, per l’eccezionalità, nella storia dell’umanità.

Questo “singolare” esemplare umano, affetto da una particolare patologia (infantilismo cronico degenerativo), non è in grado di procurarsi il cibo, di scaldarsi, di produrre autonomamente alimenti, di soffrire e di decidere. Un uomo privo della più remota forma di volontà, che rifiuta ogni fatica fisica, responsabilità individuale e ragione, essendosi consegnato, anima e corpo, fra le grinfie del Sistema Padrone da lui stesso partorito. La maggior parte del suo cervello, che per milioni di anni gli ha consentito di sopravvivere, di adattarsi ed evolversi, non solo è rimasta inattiva, ma nella gran parte degli individui è totalmente assente.

E allora, a proposito di scrittori, la domanda è: esiste un nuovo Shakespeare, o è solo una meteora nella storia dell’umanità e oggi non c’è altro che mediocrità? E Pirandello, e Tolstoi e Dostoevskij?

Quante volte siamo stati tentati dal facile e allettante conformismo. E’ un culto, sedotti dai simboli del successo, siamo diventati attori per compiacere i gusti e i capricci del pubblico. Ma attori, nel linguaggio giuridico, sono coloro che prendono l’iniziativa del processo. E in senso lato attori protagonisti di una nuova realtà, di un nuovo metodo, di una nuova conoscenza dotata di altri significati. E invece … possiamo dircelo senza remora; tutto è così accogliente e confortevole, evitiamo di dire qualsiasi cosa che possa disturbare le rispettabili opinioni degli agiati membri della comunità. Come Pilato, abbiamo adattato le nostre convinzioni alle richieste della folla.

Sarebbe interessante analizzare il fenomeno del conformismo, ma non sono un esperto in psicologia sociale, sono solo un uomo di spettacolo, ma è evidente che quando parliamo di conformismo stiamo descrivendo un’influenza che ha origini da una fonte maggioritaria: più comunemente chiamata “la maggioranza”.

Nella concretezza della nostra semplice vita sociale spesso ci troviamo a subire delle pressioni provenienti da altri individui o gruppi che spingono a conformarsi ad alcune idee o a certi modelli di comportamento. E’ evidente come in alcuni casi l’influenza è reciproca. Altre volte, invece, può verificarsi che l’influenza si manifesti in una sola direzione: quella espressa appunto dalla maggioranza. Quando in un gruppo sorgono diversità di vedute e di atteggiamenti, è molto probabile che nasca al suo interno un conflitto; esso spinge a cercare un compromesso sul modo di pensare o di agire tra i suoi elementi. Può accadere l’ipotesi di scontrarsi, da soli o in minoranza, con idee o stili di vita “omologati”, che fanno pressione sui singoli. E’ qui che si riscontra il potere della maggioranza, capace, in determinate situazioni, di contrastare chi esprime opinioni o comportamenti differenti. Alla domanda “che cos’è la maggioranza” è interessante rispondere con Alexis de Tocqueville, notissimo scrittore e politologo dell’800. Così la descrive: <Quando, negli Stati Uniti, un uomo o un partito subisce un’ingiustizia, a chi volete che si rivolga? All’opinione pubblica? E’ essa che forma la maggioranza. Al corpo legislativo? Esso rappresenta la maggioranza e le obbedisce ciecamente. Al potere esecutivo? Ma è nominato dalla maggioranza e la serve come uno strumento passivo. Alla forza pubblica? La forza pubblica non è altro che la maggioranza sotto le armi. Alla giuria? La giuria è la maggioranza investita del diritto di pronunciare sentenze: i giudici stessi, in certi Stati, sono eletti dalla maggioranza. Per iniqua o irragionevole che sia la misura che vi colpisce, è necessario che vi sottomettiate>. Dal brano emerge chiaramente il potere di questa forza, che, al limite, diventa dispotismo.

La vita è una immensa e inesauribile corrente di forza, coscienza e gioia.

Un venditore, così come l’attore, è o non è. E se non è quel fiume senza argine pronto a dilagare nella campagna circostante, allora dimmi tu cos’è. Se non è pronto a fluire e ad espandersi pienamente dentro a una vita senza rinchiudersi in una tabella che misuri lo scostamento fra obiettivi e risultati, senza rinchiudersi dentro formule, indici di produttività, di ricavi, in una tecnica, in un metodo buttato giù a memoria; se non è pronto a camminare con il cuore colmo di speranza e gioia, allora dimmi tu cos’è. E dunque, quando permettiamo a questo cammino di unirsi a questa forza che probabilmente non avevi calcolato, tutto diventa potente e grande. E’ una valvola sempre aperta che non si chiude mai. Con questo devi interagire, con le energie del tuo cuore che hanno come sorgente la tua vera natura la tua essenza ciò che tu sei realmente. Tutto si espande e puoi finalmente amare e quando al mattino ti chiudi la porta di casa alle spalle per incontrare il mondo, allora è il momento di pronunciare il tuo nome con orgoglio e dire a te stesso: “mi chiamo … e sto arrivando”.  

Avanza con coraggio, il cammino potrebbe essere lungo e faticoso ma il tuo passo è sicuro. Hai acquisito capacità e resistenza perché anche di forza fisica hai bisogno. Vai, con una mente lucida e un cuore colmo di gratitudine, vai, chi può fermarti. Quando sei dentro a questa energia puoi creare. Puoi creare già una situazione. Tu puoi creare già qualcosa che ha una forma, e se la crei col cuore, quella forma è reale, aspetta solo un occasione per manifestarsi. Vai, e non dimenticare chi incontri, chiunque esso sia; che sia un santo o un derelitto, un poeta o un miscredente sono li in un angolo della tua esistenza. Vai, nella pienezza e nella consapevolezza del tuo essere e non temere nulla, allora tutto quello che vuoi prenderà vita, prenderà forma, è li.

Se stai pensando a questo punto qualcosa del tipo “si d’accordo, ma come faccio a vendere sempre di più?”

Io non lo so. E se questo rappresenta per te una delusione, mi dispiace molto. Altri potrebbero rispondere a questa domanda, capaci e intelligenti, formatori di prima classe. Da parte mia posso solo parlarti del lavoro di un attore, e come un attore è un venditore: vende a se stesso realtà e vita e cosa le da nutrimento.

Non puoi vendere a nessuno se prima non vendi a te stesso.

Perché tu sei il peggior cliente che mai nella tua vita professionale puoi incontrare. Convinci te stesso e potrai vendere al Papa l’ultima edizione integrale della Bibbia in otto volumi aggiornata sulle più recenti ricerche su antichi codici, impreziosita dalla copertina a rilievo in argento, in una serie limitata e numerata, con la prefazione scritta direttamente dal Padreterno.

Impossibile! Davvero?

I commenti e le domande sono bene accetti.

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